“…
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontrar’ a’ miei in ciascuna sua legge?”
Ond’ io a lui: Lo strazio e ‘l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio”.
Inf. X, 82, 87
Dante e i suoi versi immortali aprono la consueta panoramica sulla griglia di quest’anno. Condotti così fummo dal sommo poeta insù pel primo gioco: Inferno, di Enrico Acerbi e Volko Ruhnke, terzo capitolo della serie Levy & Campaign, inaugurata da quest’ultimo con il famoso Nevsky.
Il gioco è incardinato sulla battaglia di Montaperti, una delle più sanguinose del medioevo, fra la fazione guelfa di Firenze e quella ghibellina di Siena, di cui Dante fa cenno nel X Canto dell’Inferno, quando, rispondendo a Farinata degli Uberti, che gli domandava ragione dell’accanimento dei fiorentini nei riguardi dei senesi, fa riferimento alla mattanza che, a battaglia finita, i senesi consumarono ai danni dei fiorentini.
Tale fu il massacro da colorare di rosso l’Arbia, il torrente che attraversa la valle omonima, lungo la quale i fiorentini avevano marciato sfruttandone il percorso più agevole e per il facile approvvigionamento idrico che il corso d’acqua garantiva.
Farinata degli Uberti era un nobile condottiero fiorentino che però apparteneva ad una delle più influenti famiglie ghibelline e che quindi, nella battaglia di Montaperti, combatté tra le fila dello schieramento ghibellino, che contava quasi 20000 senesi al comando di Provenzano Salvani. Nel campo avversario la lega guelfa contava oltre 30000 uomini, condotti da Jacopino Randoni.
All’alba del 4 settembre 1260 iniziò lo scontro che si protrasse con fasi alterne sino al pomeriggio, quando, si racconta, Bocca degli Abati, uno dei capi fiorentini, tradì la sua fazione moncando a tradimento la mano di Jacopo de’ Pazzi, il portastendardo guelfo. Non vedendo più l’insegna in campo, la fazione guelfa cadde nello scompiglio, facendo buon gioco ai ghibellini senesi, che così ebbero ragione in poco tempo dello schieramento guelfo, definitivamente schiantato dalla carica della cavalleria imperiale inviata da re Manfredi a sostegno dell’operazione. Fu allora che iniziò il massacro compiuto dai senesi, che fino al tramonto si dedicarono alla caccia ai guelfi in fuga lungo la valle dell’Arbia, trucidando oltre 10000 uomini, il cui sangue fece rosso il torrente…
Se Farinata degli Uberti viene collocato da Dante fra gli epicurei, che l’anima col corpo morta fanno, nel sesto cerchio dove patiscono gli eretici, ben più ignominioso è il destino che il sommo poeta riserva a Bocca degli Abati, posto nel cerchio più profondo dell’Inferno, il nono, quello riservato ai traditori, e a cui Dante manifesterà tutto il suo disprezzo dopo che, avendo inciampato sul suo capo, ne aveva suscitato la reazione.
Ciò per dire la vasta eco che l’avvenimento ebbe, e che ancora oggi viene rievocato. Vi è anche un cippo commemorativo, a forma piramidale, eretto alla fine dell’ottocento sulla sommità della collina di Montaperti e a tutt’oggi visitabile.
La battaglia di Montaperti s’inquadra nella storica rivalità fra Siena e Firenze, dovuta alla loro secolare lotta per l’egemonia sul territorio toscano e per le solite ragioni economiche. L’una agevolata dalla posizione lungo la via francigena e l’altra dall’Arno, entrambe conobbero un lungo periodo di fiorenti commerci e non ci volle molto che gli interessi economici dei due Comuni entrassero in conflitto e, con essi, anche quelli politici. Già all’indomani dell’anno mille i mercanti fiorentini e senesi giravano l’Europa arricchendosi, con la conseguente crescita delle attività dei banchieri delle due città.
Nella prima metà del XIII secolo, quando la rivalità economica e politica poteva già dirsi secolare, l’influenza fiorentina si era spinta a ridosso di Siena e la situazione politica vedeva Firenze a maggioranza guelfa, a sostegno del primato papale, mentre Siena, a maggioranza ghibellina, era alleata del Sacro Romano Impero, retto in quel periodo da Manfredi di Hohenstaufen, (o di Svevia o di Sicilia), figlio di Federico II.
Il casus belli delle ostilità che condussero a Montaperti, si verificò nel 1258, quando Siena, contravvenendo ad uno dei termini dell’accordo di pace del precedente conflitto del 1255, che l’aveva vista sconfitta, accolse alcuni esuli ghibellini fiorentini che avevano tentato di rovesciare i guelfi al potere a Firenze.
Le prime ostilità ebbero luogo in Maremma, dove i Guelfi riuscirono a fomentare gli animi nei Comuni di Grosseto, Monternassi e Montiano, inducendoli a rivoltarsi contro Siena, che, in risposta, chiese aiuto direttamente al re Manfredi, ottenendo in appoggio alcuni squadroni di cavalieri tedeschi, col cui sostegno, nel 1260, riuscì a piegare le resistenze guelfe in quei Comuni.
La reazione della lega guelfa fu immediata. Nel maggio di quell’anno fece muovere un esercito di oltre 35000 uomini alla volta di Siena. Accampandosi a nord della città, presso la chiesa di Santa Petronilla, vicino a Porta Camollia, il 18 maggio diede inizio ad un assedio. Quello stesso giorno i cavalieri senesi e tedeschi attaccarono l’accampamento e dopo due giorni di combattimenti, il 20 maggio, riuscirono a sgombrare il campo guelfo.
L’esito della battaglia indusse poi re Manfredi ad inviare altri 800 cavalieri in sostegno di Siena, la quale ricevette aiuti pure da Pisa, oltre che da altri ghibellini toscani. Le nuove risorse diedero ulteriore slancio al Comune ghibellino, che riuscì a riprendersi anche Montepulciano e Montalcino.
Firenze, sull’urgenza di riprendersi subito i due Comuni appena persi, chiamò a raccolta tutta la lega guelfa e con un esercito di 33000 uomini, tra fanti e cavalieri, mosse su Siena, accampandosi nelle vicinanze del torrente Arbia, nei pressi di Montaperti. Il 2 settembre venne consegnato l’ultimatum al Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che lo respinse, e la mattina del 4 settembre l’esercito ghibellino attraversato l’Arbia, schierò sul campo quattro divisioni pronte per una manovra d’accerchiamento, dando inizio alla battaglia di Montaperti.
Con Inferno, Acerbi innesta la lotta per il predominio della Toscana tra Siena e Firenze, nel sistema Levy & Campaign, studiato da Ruhnke proprio per simulare manovre e campagne politico-militari del periodo medioevale. Con questo sistema dunque Acerbi riproduce la complessa dinamica che mosse la crisi qui rappresentata, ove alle ragioni che contrapposero Siena e Firenze sul piano economico e d’influenza politica, si sovrappose quella relativa al conflitto fra Guelfi e Ghibellini, che confuse non poco le relazioni reciproche fra i diversi Comuni e quelle interne nei governi di ciascuno. Infatti, pur stabilendosi maggioranze più o meno stabili che potevano inquadrare una città a sostegno di una delle due fazioni, non mancavano casi di famiglie, anche influenti, che appartenessero alla fazione avversa nel medesimo Comune. Pertanto lotte intestine, accordi segreti, tradimenti e disordini spesso volutamente provocati, erano piuttosto frequenti, conferendo a tutto il contesto toscano del XIII secolo un assetto liquido, dai contorni sfumati. Potremmo dire che Farinata degli Uberti ne è la personificazione, che, da fiorentino, appoggiò Siena da ghibellino.
Inferno restituisce bene tale contesto, coprendo gli avvenimenti per l’intero arco temporale lungo cui l’intera vicenda si sviluppò, dal 1259 al 1261, e i giocatori vi si dovranno districare gestendo con cura la propria fazione, decidere su quali obiettivi concentrarne gli sforzi e quali caratteristiche conferire ai propri eserciti allo scopo di perseguirli con efficacia. Il sistema di gioco infatti si sviluppa proprio sull’ampio spettro di possibilità per comporre gli eserciti, ognuno con prerogative proprie, in modo che assolva al meglio un determinato compito nel quadro generale della strategia decisa dal giocatore. Ciò si realizza a partire dalla scelta dei nobili, tutti diversamente caratterizzati, che i giocatori decidono di turno in turno di far scendere in campo nei limiti del calendario di servizio definito dallo scenario. La scelta del comando si combina poi con quella delle unità, tra fanti, cavalieri e milizie fornite ai nobili dai loro vassalli e la caratterizzazione delle stesse attraverso l’assegnazione di particolari abilità o unità specializzate come balestrieri e arcieri, così da definire al meglio l’esercito in funzione del loro impiego operativo sul campo di battaglia. Infine la preparazione della campagna con un’accurata gestione della logistica e dei rapporti diplomatici, più o meno leali, tradimenti inclusi, completano il quadro di un gioco decisamente dotato di una grande variabilità e pregno di spunti interessanti, di sicuro richiamo!
Prima di passare al prossimo gioco, ringrazio Maurizio Amizzoni per la gentile collaborazione nella stesura di quanto avete appena letto su Inferno.
E ora chi ricorda Cry Havoc? Era il lontano 1981 quando questo tattico, ambientato in epoca medievale, allietava i tavoli di tanti appassionati. Era un gioco dalle atmosfere suggestive, in grazia di scenari fortemente evocativi, dove le vicende più disparate si materializzavano su quei caratteristici tabelloni dalla curiosa consistenza: dalle bagatelle fra paesani e milizia, alle nobili imprese di eroici cavalieri, risolte poi in scontri uomo contro uomo, molto curati nel dettaglio, ma senza appesantire il flusso di gioco. Il successo che riscosse si tradusse in un proliferarsi di espansioni e nuovi giochi basati su quel sistema, che costituirono poi una vera e propria serie nota come serie Cry Havoc. Ebbene, a distanza della bellezza di 41 anni, l’editore francese Historic’One di libri e giochi storici, non solo lo riporta in vita, ma ne conserva anche l’aura, riproponendone la medesima componentistica e financo il caratteristico formato delle scatole Eurogames dell’epoca. Non a caso i loro giochi sono raccolti nella collana denominata appunto “Cry Havoc Fan”.
E proprio a questa collana appartiene Sherwood, il gioco che ripropone le epiche avventure di Robin Hood col sistema Cry Havoc. A Bracciano ci sarà un tavolo permeato dell’affascinante atmosfera retrò anni ’80, dove la foresta di Sherwood e i villaggi d’intorno saranno nuovamente il teatro di numerose avventure di Robin Hood e la sua banda di ladri, ancora una volta alle prese col terribile sceriffo di Nottingham e le sue guardie. Ci sarà da divertirsi…
Quest’anno poi in griglia spiccano tre giochi che definirei non convenzionali. Non sono wargames e l’esperienza di gioco che promettono origina dalla natura dei temi trattati e da come vengono sviluppati nel corso della partita. Tutti e tre sono frutto della medesima mente, quella di Cole Wehrle, autore geniale e decisamente non convenzionale.
Cominciamo da John Company seconda edizione, edito nel 2022 da Wherlegig games, fondata dallo stesso autore insieme col fratello. Si tratta di un gioco comunque storico che insieme a Infamous Traffic e Pax Pamir, compone quella produzione nella quale Cole Wehrle ha riversato le sue conoscenze storico-sociali acquisite durante la sua attività di ricerca universitaria.
John Company affronta temi inerenti alla genesi del colonialismo e della conseguente politica imperialista esercitata dalla potente Compagnia delle Indie Orientali, facendo emergere le gravi disfunzionalità e i meccanismi di perpetuazione ingenerati dalla salvaguardia delle personali rendite di posizione di coloro che la dirigevano. Già, perché nel gioco i giocatori assumono il ruolo di famiglie ambiziose che mirano al guadagno personale, non solo economico, ma anche e soprattutto di reputazione e di potere.
Siamo agli inizi del XVIII secolo, quando la Compagnia comincia a strutturarsi nel subcontinente indiano e le famiglie che la dirigono, cioè i giocatori, sono impegnate affinché s’imponga come la Società più potente del mondo. Ma attenzione. Persino in caso la Compagnia crollasse sotto il peso delle proprie ambizioni, il gioco prevedrebbe comunque un vincitore, aprendosi a qualunque strategia, anche la più bieca, che i giocatori volessero intraprendere per imporre la propria famiglia sulle altre.
Favorire i propri interessi è dunque il faro che guida le decisioni al tavolo, facendo sì che questi siano il più possibile sovrapponibili a quelli della Società. Ma non è per niente semplice e nessuna famiglia è in grado di riuscirci senza l’appoggio delle altre; anche perché qui, come nella realtà, l’alea ha un ruolo determinante ed è facile vedersi stravolti piani argutamente elaborati, dall’esplosione di un tumulto o da un disastroso evento meteorologico o anche da una legge ostile votata in parlamento. Dunque la negoziazione riveste un ruolo determinante, che conferisce pure un attributo narrativo, oltre che sostanziale, al corso delle partite.
La meccanica si dipana in varie fasi, ognuna perfettamente integrata nella successiva, così da dover essere gestita con molta attenzione. La conseguenza di una scelta poco attenta si ripercuoterebbe nei momenti successivi del turno. La gestione della società poi presenta gli aspetti tipici della conduzione di una grande realtà economico-finanziaria. Si va dalla verifica dello stato di salute di chi riveste ruoli cruciali nella Compagnia, all’eventualità di un loro pensionamento, con relativi costi di mantenimento; poi ogni ruolo eserciterà le proprie funzioni nel settore di propria competenza, partendo dal Presidente, per la gestione dei finanziamenti, passando per il Direttore del Commercio, seguito dal Responsabile per le Spedizioni e da quello degli Affari militari e avanti così sino ad attivare ogni ganglio della Compagnia.
Decidere in merito a nuove assunzioni; brigare per assegnare ruoli chiave a familiari, così da controllarli; combinare matrimoni d’interesse; aprire nuovi mercati o rischiare in costosissime operazioni militari per espandersi in nuove regioni, rappresentano solo alcune delle attività che si susseguono in una partita, ma le azioni e gli aspetti da tener presenti sono molteplici e tutti molto ben articolati fra loro.
Non è per niente un gioco semplice, ma l’esperienza che promette è decisamente immersiva e densa di implicazioni profonde riguardo ad una realtà, quale quella del colonialismo e dell’imperialismo, che si perpetua ancora oggi, con il potere concentrato in poche mani. Una realtà molto ben conosciuta da Wehrle, che l’ha indagata specializzandosi in Storia del XIX secolo, con una tesi incentrata sugli scritti di Sir Richard Francis Burton e Frantz Fanon, due personaggi che il colonialismo l’hanno vissuto sulla propria pelle.
Di fatto John Company accompagna i giocatori in una lucida quanto spietata analisi di quei meccanismi che a tutt’oggi regolano le economie mondiali, mettendone drammaticamente a nudo le scorie sociali che producono.
Il secondo gioco di Wehrle presente in griglia è Oath, edito nel 2021 da Leder games, che a differenza del precedente, non ha alcuna attinenza con la Storia, perché saranno i giocatori stessi a scriverla incidendo profondamente sulle condizioni di partenza delle partite successive. Ma chi ora pensasse ad un legacy, sbaglierebbe di grosso.
Anche qui ci si misura con temi dal netto sapore politico-sociale, dove in ogni partita va in scena la mai risolta lotta per il potere, combattuta con ogni mezzo pur di prevalere. Stavolta, però, il contesto nel quale ci si muove è del tutto fantastico, rappresentato con una grafica quasi fiabesca. Solo che a parte le illustrazioni, di fiabesco qui non c’è null’altro: ci troviamo difronte ad un concentrato di sottile perfidia…
Una terra antica, un mondo diviso in due: da una parte l’ordine costituito rappresentato dal Cancelliere; dall’altra gli Esuli, ossia coloro che tale ordine vogliono rovesciarlo, ma che hanno anche la facoltà di decidere di diventarne parte integrante, nella speranza di sostituirsi al Cancelliere. L’uno ha l’obiettivo di mantenere il Giuramento fatto al popolo, gli altri quello di succedergli al potere, in un modo o nell’altro.
Le azioni disponibili ad ogni turno, che si svolgono su una mappa minimalista divisa in tre settori, – Fulcro, Province e Terre Selvagge – ricalcano in modo figurato le dinamiche di un wargame strategico. Sono infatti previsti piazzamenti, movimenti, reclutamenti, combattimenti, oltre che attività commerciali e di ricerca che forniscono un ampio ventaglio di strategie da mettere in gioco, per raggiungere i propri scopi. Tutto questo s’inserisce poi in una struttura narrativa che comunica la sensazione di fare la Storia giocando la partita, modellando con le proprie scelte questo mondo fatto di archetipi. Ogni scelta, ogni esito imprime una traccia, lascia un segno, plasma il contesto, che diverrà quello di partenza per le partite successive. Come dice l’autore: “Se un giocatore prende il controllo corteggiando l’anarchia e la sfiducia, i futuri giocatori dovranno fare i conti con una terra invasa da ladri e meschini signori della guerra. In un gioco successivo, un signore della guerra potrebbe tentare di fondare una dinastia, creando una linea di sovrani che potrebbe durare generazioni o essere schiacciata dall’ascesa di un terribile culto arcano.”
Non è un legacy, può essere ripristinato in qualsiasi momento e le partite possono essere giocate da gruppi diversi di giocatori, ognuno a scrivere un capitolo nel grande Libro delle Cronache di Oath.
La curiosità di vederlo girare è davvero tanta, senza contare le potenzialità che un gioco del genere offre ad un consesso partecipato e cadenzato come il nostro Raduno.
Veniamo ora al terzo gioco di Wehrle presente in griglia, con cui chiudiamo questa prima carrellata.
Si tratta del famosissimo Root. Finanziato tramite crowdfunding nel 2017 e pubblicato l’anno successivo da Leder Games, è stato il primo gioco di Cole Wehrle a marchio Leder.
Pur provenendo da esperienze importanti in qualità di sviluppatore e progettista di giochi (già nel 2015 e nel 2016 aveva pubblicato Pax Pamir, assieme a Phil Eklund, e An Infamous Traffic, citati all’inizio), è con Root che Wehrle arriva alla notorietà del grande pubblico di appassionati. Ciò a dire dell’impatto prorompente di questo gioco.
Le ragioni di tanto apprezzamento risiedono in una meccanica asimmetrica estremamente raffinata con la quale si affrontano situazioni dalla forte connotazione politica, argomento tanto caro a Wehrle, da esser diventato, come abbiamo visto, la sua cifra stilistica. Come nei due giochi appena descritti, anche qui ci si cimenta in una lotta per il potere, un po’ in salsa “Fattoria degli Animali” di Orwell.
Siamo in un grande bosco dominato dalla malvagia Marchesa de Cat, il cui unico scopo è raccoglierne le ricchezze. Le altre creature del bosco, per reagire ad un governo tanto oppressivo, si sono riunite in una grande Alleanza per sovvertire il dominio dei Gatti. Per il raggiungimento dello scopo, l’Alleanza può avvalersi dell’aiuto dei Vagabondi erranti, in grado di muoversi per i sentieri boschivi più pericolosi. Solo che anche questi vagabondi hanno i loro scopi, essendo i discendenti dei grandi rapaci che un tempo dominavano il bosco. Infine ai margini della regione vi sono i litigiosi Nido dell’Aquila, che dopo aver trovato un nuovo comandante, sono intenzionati a riprendersi il potere che ritengono spetti loro per diritto di nascita.
Dunque ci sono quattro fazioni, ognuna con regole e obiettivi differenti da quelli delle altre. I Gatti devono difendere lo status quo, cercando di costruire un sistema militare e logistico efficiente. Dovranno raccogliere legno, produrre officine, segherie e caserme. Vincono costruendo nuovi edifici e attivando nuovi mestieri
Il Nido dell’Aquila, per riconquistare i boschi, deve radunare i suoi falchi, conquistare più territorio possibile e costruire rifugi, prima di ricadere nel caos dei litigi
L’Alleanza deve agire nell’ombra, reclutando forze e ordendo cospirazioni.
Il Vagabondo presta i suoi servizi a tutte le parti in conflitto, ma lo fa per il proprio tornaconto, nascondendo una missione segreta.
Lo scopo per tutti è raggiungere per primi 30 punti vittoria, ma le peculiarità di ogni fazione differenziano in modo tanto sostanziale le rispettive condizioni di vittoria, come anche l’esecuzione di azioni quali il movimento, le battaglie e la produzione, da rendere differente l’esperienza di gioco a seconda della fazione giocata. Inoltre l’interazione diretta fra le fazioni e tra le fazioni e il contesto, fa sì che la partita vada condotta conoscendo bene le proprie prerogative, ma tenendo pure ben d’occhio come stanno agendo gli avversari.
Come dicevo, non possono dirsi wargames in senso pieno, ma alla fine non ne sono nemmeno così distanti…