Siamo prossimi!
Il Raduno è alle porte e da consuetudine ci piace dare uno sguardo tra i giochi che popolano la nostra griglia, colma e ricca di belle sorprese come sempre!
Iniziamo subito da From Salerno to Rome, della Dissimula Edizioni, che proprio di recente si è guadagnato una nomination nei Charles S. Roberts Awards di quest’anno, per la sezione WWII. Una splendida conferma dell’ottimo lavoro di Sergio Schiavi, che, dopo il successo di Radetzky’s March, ci porta nella campagna d’Italia della seconda guerra mondiale, coprendo i primi dieci mesi che seguirono lo sbarco alleato a Salerno del settembre 1943, fino alla presa di Roma, nel giugno del 1944. Motore del gioco è un sistema a impulsi nei quali potersi giocare i punti di attivazione per mobilitare le proprie unità. Questo sistema si è rivelato ottimale per rendere appieno la situazione sul campo, che vedeva l’Alleato costretto ad avanzare e l’Asse impegnato ad esaurirne la spinta, contrattaccando laddove l’avanzata alleata si mostrava più esposta. Ne risulta un gioco estremamente dinamico e avvincente, che entrambe le parti dovranno interpretare turno dopo turno sul sottile crinale fra la vittoria e la sconfitta.
FSTR ci catapulta direttamente in uno dei periodi più difficili della nostra Storia. Siamo all’indomani di quel terremoto che fu l’8 settembre del 1943, quando in quel pomeriggio il maresciallo Pietro Badoglio rese pubblico l’armistizio firmato il 3 settembre a Cassibile, tenuto segreto per cinque giorni, dove l’Italia dichiarò la resa incondizionata agli Alleati e il disimpegno dall’alleanza con la Germania di Hitler. Fu l’inizio della guerra di liberazione dal nazifascismo, ma in quel momento il caos fu assoluto. Interi reparti si disgregarono, mentre le truppe tedesche, pur colte di sorpresa, si riorganizzarono in fretta e con assoluta efficacia presero il controllo in tutti teatri dov’erano presenti unità italiane. Questo è il quadro sul quale Sergio Schiavi apre il sipario col suo FSTR. Il 9 settembre gli Alleati sbarcano a Salerno, mentre le truppe britanniche occupano Taranto. Dall’altra parte le truppe tedesche si riorganizzano per scatenare la loro controffensiva. Ora tocca ai giocatori…
Rimanendo sulla seconda guerra mondiale, troviamo un altro pezzo da novanta: Atlantic Chase della GMT Games. Andato esaurito nel giro di poche settimane dalla messa in distribuzione, questo titolo ha suscitato grandissimo interesse per la carica innovativa e convincente del sistema di gioco.
“Dobbiamo considerare la Battaglia dell’Atlantico come una delle battaglie più grandi combattute negli annali della guerra”. Così Winston Churchill si esprimeva il 18 marzo 1941, quando i due incrociatori pesanti Scharnhorst e Gneisenau, dopo aver affondato quasi 120000 tonnellate di stazza lorda in mercantili inglesi nell’Atlantico, avevano raggiunto le coste francesi, eludendo per ben due mesi la caccia condotta in lungo e in largo nell’Atlantico dalla marina britannica. Nel porto di Brest sarebbero state rimesse in piena efficienza e, ciò che maggiormente preoccupava Churchill, si sarebbero unite alla più temuta tra le unità della Kriegsmarine: la corazzata Bismark. Furono queste le premesse che condussero Churchill ad ordinare di dar la caccia alla Bismark per ingaggiarla e affondarla.
Atlantic Chase è una bella simulazione delle campagne navali combattute nel nord Atlantico fra la Royal Navy e la Kriegsmarine tra il 1939 e il 1942. Giocarlo significa mettersi veramente nei panni degli alti comandi che appuntavano su grandi mappe, rotte e posizioni, con fili e spilli, aggiornandole di volta in volta, sulla base di rapporti e informazioni non sempre precise e quasi mai tempestive.
Mutuando esattamente quella modalità, Atlantic Chase utilizza un sistema di traiettorie che ben rende quell’incertezza da “nebbia di guerra” che affliggeva i comandi dell’epoca, senza dover ricorrere a blocchi di false unità o a movimenti nascosti o al doppio cieco che, peraltro, necessita di un arbitro o di un’applicazione. Sul tabellone non compaiono né vengono mosse singole unità, ma dispiegati solo i percorsi delle loro rotte. Sarà davvero come entrare nei gabinetti di guerra dell’epoca!
Stesso periodo, diverso il teatro, quello forse più simulato in assoluto: il nord Africa, stavolta nella versione di Ted S. Raicer con il suo The Dark Sands, della GMT Games. Dall’operazione Compass del dicembre del ’40, alla drammatica battaglia di El Alamein, combattuta due anni dopo, Ted S. Raicer ridisegna l’ormai quasi leggendario scontro fra l’Afrika Korps di Rommel e l’VIII armata britannica, riprendendo il medesimo sistema di The Dark Valley, ad attivazione casuale, ritarato per gestire una scala minore. A tal proposito merita d’esser menzionata la curiosa soluzione di adottare una doppia scala che prevede 9 miglia per esagono, nelle mappe est e ovest, per dimezzarsi a 4,5 miglia per esagono in quella centrale. Sicuramente un ulteriore motivo d’interesse per intavolarlo…
Ed ora ci lasciamo accompagnare da Enrico Acerbi, talentuoso autore italiano, in un bel salto nel passato, con Lepanto 1571, l’ultima sua creatura edita da Acies Edizioni.
Il 7 ottobre 1571, presso le isole Echinadi, situate nel golfo di Patrasso, nel mar Ionio, ebbe luogo il celeberrimo scontro navale passato alla Storia come battaglia di Lepanto. Per il numero di navi impegnate, di perdite e per la rilevanza storica del suo epilogo, è annoverato fra quegli eventi che più hanno inciso nel determinare il corso della Storia.
Siamo in piena Guerra di Cipro, la quarta turco veneziana, per il controllo del mediterraneo orientale, originata dalla richiesta trasmessa a Venezia dal sultano Selim II, tramite il suo ambasciatore. Gli ottomani reclamavano l’isola di Cipro col pretesto della sua trascorsa appartenenza all’Islam, ma soprattutto a causa dello status di sicuro rifugio assunto di fatto dall’isola, per i corsari cristiani, visto che la milizia veneziana né li catturava, né tantomeno li consegnava alla giustizia ottomana, venendo meno ad accordi precedenti. Ovviamente tale pretesa fu seccamente rispedita al mittente e dunque cominciarono i preparativi per la guerra.
L’inizio disastroso per i veneziani comportò la caduta di Nicosia e Famagosta, dove, ad opera degli ottomani, si consumò un massacro, culminato nell’atroce quanto macabra tortura ed esecuzione pubblica del senatore Marcantonio Bragadin, comandante della fortezza di Famagosta. Era il 17 agosto 1571.
Nei mesi precedenti Papa Pio V, allarmato per la grave situazione che si stava profilando, aveva sollecitato con forza la costituzione di un’ampia coalizione fra gli Stati cristiani che andasse in soccorso di Famagosta, allora sotto assedio. Il 2 luglio 1571 gli sforzi del papato si concretizzarono a Venezia, dove venne siglata l’alleanza con la Spagna, a cui fu dato il nome di Lega Santa.
All’ombra del suo vessillo si radunò una flotta composta da 204 galee, 6 galeazze e 30 lanterne, per una potenza di fuoco complessiva stimata in oltre 1800 cannoni imbarcati, il cui comando supremo fu affidato a Don Giovanni d’Austria.
All’alba del 7 ottobre 1571 la flotta della Lega Santa si presentò nel Golfo di Patrasso in assetto da combattimento, schierata in formazione compatta divisa in quattro parti: il centro, affiancato dai due corni laterali, ognuno preceduto da due galeazze, e la riserva a seguire in posizione centrale.
Difronte, disposta in modo simmetrico a quella della Lega Santa, la flotta ottomana, al comando di Alì Pascià, costituita da 216 galee, 64 galeotte e 64 fuste, con in tutto 750 bocche da fuoco.
La prima mossa la fa Don Giovanni d’Austria, avanzando le 6 galeazze, pesantemente armate, in modo che apparissero distanziate dal resto della flotta e quindi vulnerabili. Un’esca che si rilevò devastante per la flotta ottomana, la quale perse in breve tempo circa 70 navi, vedendosi così scompaginato lo schieramento iniziale. La reazione di Alì Pascià fu quella di sopravanzarle, senza minimamente tentare di abbordarle, e di concentrare tutta la flotta in un assalto frontale, mirando direttamente alla nave di Don Giovanni, nel tentativo di abbordarla.
Poco prima Gianandrea Doria, al comando del corno destro, appena vide Alì Pascià sopravanzare indenne le Galeazze, decise di allargarsi dalla formazione dirigendo in mare aperto, inducendo il comandante ottomano a pensare che stesse abbandonando il campo di battaglia. Una manovra che lo espose all’accusa di tradimento e ancor oggi è oggetto di indagine, non essendo unanime il parere degli storici. Egli non rispose nemmeno al colpo di cannone esploso come atto di sfida da parte di Alì Pascià; sfida che fu invece raccolta da Don Giovanni d’Austria, che rispose immediatamente al fuoco.
Dall’altra parte, Barbarigo, al comando del corno sinistro posizionato verso la costa, ebbe il suo daffare per respingere l’assalto dell’ala destra ottomana, che si stava insinuando fra il suo corno e la costa, decisa ad aggirare l’intero schieramento cristiano. Ne scaturì una violenta battaglia con un incessante succedersi di capovolgimenti di fronte e solo l’intervento della riserva guidata dal Marchese di Santa Cruz evitò il peggio.
Al centro infuriava lo scontro fra la galea di Alì Pascià e Don Giovanni d’Austria, con altre galere ottomane impegnate contro Venier e Marcantonio Colonna, i due comandanti a supporto di Don Giovanni. Le cronache raccontano di atti di gran coraggio nei ripetuti assalti che si susseguivano fra continui ingaggi e disimpegni. Lo stesso Don Giovanni rimase ferito ad una gamba e in suo soccorso, oltre all’onnipresente Marchese di Santa Cruz, dovettero intervenire a più riprese anche Venier e Marcantonio Colonna.
Quanto accadde sul lato del corno destro al comando di Doria è a tutt’oggi argomento di studio. Fatto sta che quel lato dello schieramento contava circa 50 galee, che si trovarono a fronteggiarne una novantina dell’ala sinistra ottomana, condotte peraltro da un comandante dalle doti eccezionali, Uluc Alì, nato in Calabria, catturato durante una razzia turca e convertitosi all’Islam. Il grande rischio di fronteggiarlo in inferiorità numerica e, ancor peggio, su un tratto di mare più ampio, indusse Doria ad allargarsi, tanto più che lo stesso Alì sembrava avesse accennato la stessa manovra di accerchiamento. Solo che Uluc Alì, una volta fatto allargare lo schieramento e allontanare il corno destro dal suo centro, puntò direttamente sulle navi più lente rimaste indietro e penetrò la formazione cristiana in modo efficacissimo: catturò “la Capitana”, l’ammiraglia dei Cavalieri di Malta, facendo prigioniero il suo comandante, Pietro Giustiniani, assieme ad altre tre galee toscane, papali e sabaude: “la Fiorenza”, “la san Giovanni” e “la Sabauda, che si trovarono letteralmente circondate da un nugolo di galere ottomane. Solo un gruppo di galee dalmate, comandate da Girolamo Bisanti, rimaste a presidiare l’ala destra cristiana, ressero l’impeto dell’affondo di Alì, impendendogli di chiudere l’aggiramento ed evitare il disastro.
Gianandrea Doria non aveva fatto altro che aggravare lo svantaggio numerico e indebolito gravemente il corno destro della formazione cristiana. Quando se ne rese conto, puntò diretto verso le navi di Uluc Alì, il quale, trovandosi ora accerchiato grazie al simultaneo intervento della riserva, fuggì con una sola delle unità catturate, lasciando libere le altre tre.
Al centro, il comandante Alì Pascià cadeva in battaglia. Decapitato, la sua testa venne issata sull’albero maestro dell’ammiraglia spagnola, gettando nello sconforto l’intera flotta ottomana, che alle quattro del pomeriggio cominciò ad abbandonare il campo di battaglia. Vi lasciarono circa 30mila uomini, tra morti e prigionieri, e oltre 180 navi, tra le affondate e le catturate, a fronte di quasi 800 morti e altrettanti feriti, con 70 navi affondate nella parte cristiana.
La battaglia di Lepanto è stato lo scontro navale più importante del Rinascimento e il Lepanto di Acerbi ce lo restituisce con grande efficacia, avvalendosi di un sistema di regole lineare e ordinato, che si affida alla classica e collaudata struttura a fasi, determinate dalla pesca di pedine attivazione, la cui casualità riporta nel gioco il caos proprio della battaglia. Ciascun turno quindi si compone di due fasi: quella azione, nella quale si concentra tutta la manovra e il combattimento, e quella di fine turno. Lepanto è un tattico hex & counter, con ogni turno che simula 3 ore diurne e in cui gli esagoni rappresentano tratti di mare di un chilometro, solcati da pedine raffiguranti unità singole, squadroni e i comandanti. Il dettaglio è alto, in grado di fornire al giocatore tutte le opzioni di manovra e ingaggio dell’epoca, ma anche molto ben gestito grazie alla divisione in segmenti che sviluppano la fase azione.
Sarà sicuramente una delle attrazioni del nostro Raduno ed è anche in ottima compagnia, vista l’offerta ricchissima che proprio in questi giorni si sta componendo sulla nostra griglia e di cui, con questa brevissima carrellata, abbiamo solo scalfito la superficie!