DE BELLO LUDICO

2024

ProgettoILO Generale,I Giochi del Raduno I Giochi del Raduno 2018 (parte 3)

I Giochi del Raduno 2018 (parte 3)

 

Ispirati da tre titoli sulla storia italiana presenti al prossimo Raduno, vogliamo dedicare questa terza chiacchierata proprio alle vicende in essi trattate e ci piace aprire questa panoramica con due titoli tutti italiani.

Radetzky’s March, disegnato da Sergio Schiavi ed edito da Dissimula Edizioni di Torino, è un bel gioco che ripercorre le 100 ore dell’ultima campagna del maresciallo Radetzky.
Siamo in pieno Risorgimento italiano, precisamente nel corso della Prima guerra d’indipendenza, a quasi un anno dall’armistizio ratificato dal generale Salasco il 9 agosto del 1848. Quell’armistizio poneva fine alle ostilità tra l’Impero d’Austria e il Regno di Sardegna, all’indomani della pesante sconfitta inferta dagli austriaci nella battaglia di Custoza terminata il 27 luglio del 1848.

In realtà quel documento, oltre ad obbligare le forze piemontesi a ritirarsi completamente da tutto il Regno Lombardo-Veneto, stabiliva anche una scadenza, traducendosi di fatto in una tregua di sei settimane, che sarebbe scaduta il 21 settembre. A questa data però, sia l’Impero d’Austria, sia il Regno di Sardegna non erano disposti a riaprire il fronte, l’uno alle prese con le rivolte in Ungheria, Croazia e Boemia e con l’Imperatore Ferdinando I corso a rifugiarsi a Olomouc, dove abdicò in favore di Francesco Giuseppe, a causa dei prolungati disordini scoppiati addirittura a Vienna, i quali proprio alla sua destituzione puntavano. L’altro, per la grande confusione che dominava la complessa operazione di riorganizzazione dell’esercito, procedeva con grande lentezza e difficoltà sul percorso di recupero delle proprie capacità operative. Al termine di un cammino quanto mai travagliato, il governo del Regno di Sardegna si risolse ad affiancare un capo di stato maggiore estero, con pieni poteri, al re Carlo Alberto, il quale era deciso a restare capo supremo dell’esercito.

La nomina cadde sul generale polacco Wojciech Chrzanowski, veterano delle guerre napoleoniche, ma di fatto fu una scelta di ripiego a causa dell’impossibilità di assumere uno dei generali francesi su cui il governo sabaudo era orientato.
Nonostante la situazione dell’esercito piemontese fosse ancora gravata da evidenti carenze organizzative, il 7 febbraio del 1849, nella seduta del Consiglio dei Ministri, il re ed i responsabili politici e militari decisero di affrettare i tempi, deliberando la ripresa delle ostilità. Il 9 marzo l’atto formale fu notificato al maresciallo Radetzky.

Il 20 marzo ricominciò la guerra ripercorsa da Radetzky’s March e che l’autore, nella descrizione del gioco, introduce così, 

…il 20 marzo del 1849, le forze piemontesi, circa 85.000 uomini con poco più di un centinaio di cannoni, sono posizionate intorno a Novara e Trecate, pronte a varcare il fiume Ticino spingendosi verso Milano, nel tentativo di riconquistarla e sollevare la popolazione del Lombardo-Veneto contro l’occupante.

Il feldmaresciallo Radetzky, comandante in capo delle forze austroungariche, che nel 1849 ha ormai 83 anni, concepisce un piano audace: concentrare tutte le sue forze, circa 75.000 uomini con oltre 200 cannoni, proprio intorno a Pavia, pronto a sua volta a varcare il Ticino per spingersi rapidamente all’interno del territorio avversario, cercando l’esercito sardo per affrontarlo in una battaglia decisiva…

Il maresciallo Radetzky attraversò il Ticino presso Pavia cogliendo di sorpresa la Divisione comandata dal generale Ramorino, a cui era stata affidata la sorveglianza dei guadi del fiume tra Vigevano e Pavia. Appostatosi troppo a sud, si trovò spiazzato e non più nelle condizioni di opporre alcuna resistenza all’avanzata austriaca in territorio piemontese. Un errore grave che pagò con la vita: accusato di tradimento, il generale Ramorino fu condannato a morte e giustiziato due mesi dopo.

Ma gli errori si susseguirono durante tutta la campagna, lasciando agli austriaci una libertà di manovra fatale per le sorti dell’esercito sabaudo, che si risolsero prima nella sconfitta cruciale nella battaglia di Mortara, culminando poi nella definitiva disfatta nella battaglia di Novara, dove l’esercito piemontese si era concentrato nel tentativo di recuperare una situazione gravemente compromessa.

Era la sera del 23 marzo del 1849 e in quella stessa notte Carlo Alberto decise di abdicare a favore del figlio Vittorio Emanuele II, al quale, il giorno dopo, 24 marzo, toccò il compito di firmare l’armistizio definitivo col maresciallo Radetzky.

Il gioco, pur accurato nella ricostruzione e con un regolamento ben congeniato, appare accessibile anche a chi si approcciasse al bg storico per la prima volta. Cuore del sistema sono i comandi e le attivazioni. Ogni turno stabilisce una quota di punti d’attivazione, diversa per le due parti, a simulare le differenti capacità operative dei due eserciti. Ogni punto attiva una formazione (corpo per l’austriaco e divisione per i piemontesi), attraverso il proprio comando. Le pedine comando, selezionate segretamente, vengono raccolte in un contenitore per essere poi estratte in modo casuale. Il combinato dei due procedimenti rende bene sia la confusione e l’incertezza che regnò in quelle drammatiche 100 ore, sia l’efficienza radicalmente diversa dei due eserciti.
Le forze in campo riportano fedelmente tutti i reparti coinvolti nella campagna, così come tutte le manovre che erano in grado di compiere.

Montenotte, l’altro prodotto italiano presente in griglia, dà rilievo ad una piccola, ma cruciale, battaglia combattuta l’11 e il 12 aprile 1796 tra le truppe austriache della prima coalizione e quelle francesi comandate dall’esordiente Generale Bonaparte, durante la Prima Campagna d’Italia.
Il gioco, edito dalla Camelot/Ludolab, fa parte del progetto “Small Battles” ideato dall’autore, Giacomo Fedele, inteso a dar rilievo ai piccoli scontri, quelli meno conosciuti e simulati. La serie copre due periodi, quello risorgimentale ed il napoleonico, di cui Montenotte è il primo titolo uscito.

Anche qui troviamo i chit d’attivazione per assegnare gli ordini operativi alle unità, a livello di battaglioni, reggimenti di cavalleria e batterie di artiglieria. Sono comprese anche unità del genio per le quali è prevista la possibilità di esercitare la propria funzione, eseguendo lavori sul campo di battaglia.

Insomma due bei giochi italiani, che non mancheranno di suscitare interesse durante la nostra ormai imminente tre giorni.

Terminiamo la nostra carrellata con Arquebus, IV volume della serie Men of Iron, disegnata da Richard Berg per la GMT Games. Il periodo interessato è quello delle Guerre d’Italia scoppiate sul finire del XV secolo e proseguite sino alla metà del XVI. Furono una serie di conflitti combattuti in Italia, che videro coinvolti principalmente Francia, Spagna e Sacro Romano Impero per la supremazia in Europa. Il dipanarsi degli eventi bellici e politici di questo periodo evidenziò le fragilità politiche e militari degli Stati italiani e la precarietà degli equilibri su cui si basavano i reciproci rapporti. Ebbero quindi buon gioco le potenze continentali ad infilarsi fra gli interessi particolari, le convenienze del momento e i rapporti conflittuali delle diverse signorie al governo dei piccoli Stati italiani.

Il gioco raccoglie otto tra le battaglie più importanti, focalizzando l’attenzione sui cambiamenti radicali degli assetti delle truppe in battaglia, indotti dal ruolo sempre più preponderante delle truppe armate di archibugi e delle bombarde montate sugli affusti con le ruote, che introducevano di fatto l’artiglieria campale nei campi di battaglia. La loro comparsa, infatti, aveva reso molto vulnerabile lo spiegamento di formazioni serrate dei picchieri, inducendole ad aprirsi, e meno incisivo il ruolo della cavalleria pesante.

Tra le otto battaglie contenute nella scatola, c’è quella di Fornovo, del 6 luglio del 1495, che dette il via alle Guerre d’Italia, e quella che le terminò: la drammatica battaglia di Pavia combattuta il 24 febbraio del 1525.

La prima ebbe luogo a causa dell’intenzione di Carlo VIII, re di Francia, di reclamare il trono del Regno di Napoli, rivendicando la discendenza dalla nonna paterna, Maria d’Angiò. Preceduta da un’intensa e dispendiosa attività diplomatica con Enrico VII e Ferdinando II d’Aragona per assicurarsi una campagna senza sorprese, Carlo VIII si mosse alla conquista del Regno di Napoli con l’idea di porre le basi per una crociata di riconquista di Gerusalemme. Inizialmente fu anche incoraggiato dal ducato di Milano, da cui ottenne il libero passaggio sul proprio suolo, e dalla Repubblica di Venezia.
La discesa verso Napoli, però, fu un’esibizione di forza bruta contro chiunque si opponesse al suo passaggio. Oltre a distruggere i piccoli eserciti inviati dal papato e dal Regno di Napoli, Carlo VIII devastò ogni città che tentava di contrastarne l’avanzata. Tanta rovina seminò il terrore fra la gente dello Stivale e un radicale cambio di atteggiamento del Ducato di Milano e della Repubblica veneziana.

Proprio a Venezia il 31 marzo del 1495 venne proclamata la Santa Lega Antifrancese, i cui firmatari erano la Serenissima, il Ducato di Milano, il Papa, i re di Spagna e d’Inghilterra, nonché l’imperatore del Sacro Romano Impero, Massimiliano I.

La battaglia decisiva di Fornovo fu molto articolata, con molte perdite da entrambe le parti e dall’esito tattico incerto, ma alla fine Carlo VIII fu costretto a ritirarsi.

 

La battaglia di Pavia è forse l’evento dove maggiormente risalta la contrapposizione fra la dottrina tattica medievale e quella rinascimentale, un’autentica rivoluzione nel modo di schierare e muovere le truppe.
Vi si scontrarono l’esercito francese, condotto dal re Francesco I, e quello del Sacro Romano Impero, con Carlo V imperatore, costituito principalmente dalle forze spagnole e dai lanzichenecchi tedeschi.

Lo scontro originò dall’attacco di Francesco I per riprendersi Milano, persa nel 1521. A fine ottobre del 1524 riuscì nell’impresa, ma le truppe imperiali si ritirarono a Lodi, lasciando una nutrita guarnigione di 6000 uomini a Pavia. Occupando una posizione strategica, i francesi la cinsero d’assedio quasi immediatamente, ma non andarono oltre a una situazione di stallo, rotta solo dall’intervento di circa 22000 uomini al comando di Carlo di Lannoy, viceré di Napoli, di Carlo di Borbone e di Fernando Francesco d’Avalos, marchese di Pescara, in aiuto degli assediati.

La battaglia si sviluppò in più fasi che videro prevalere ora una parte ora l’altra, ma proprio riguardo ai mutamenti che le armi da fuoco stavano apportando, è significativo rilevare il ruolo dei cannoni francesi, che scompaginarono i quadrati dei picchieri lanzichenecchi, dando modo alla cavalleria leggera di caricare l’artiglieria spagnola prima che si disponesse a sparare, come significativo è l’errore di Francesco I che, interpretando l’evolversi dello scontro con gli occhi di un cavaliere medievale, pensò di sfruttare il vantaggio ponendosi a capo della sua cavalleria pesante per caricare a testa bassa le formazioni avversarie. Così finì per interporsi fra la sua artiglieria e il fronte, impedendole di sparare, ed espose tutto il suo reparto al fuoco di 1500 archibugieri spagnoli, i quali, a riparo da un bosco, fecero letteralmente a pezzi la cavalleria pesante francese. Significativa fu anche la fine della battaglia, ove il re francese, oltre alla sconfitta, conobbe l’umiliazione della cattura. Finì deportato in Spagna, quasi a immagine della fine di un’epoca, sopraffatta dalla successiva.

Arquebus è alimentato dal sistema Men of Iron, la cui grande prerogativa è stata l’intuizione di Richard Berg di superare il concetto di turno e di tempo. Quest’ultimo cessa di essere una costante e il sistema di attivazioni continue stravolge il senso del turno, tradizionalmente inteso.

Nel gioco di Berg, il tempo non scorre in modo costante, ma si adegua in modo continuo alla situazione, dilatandosi o contraendosi a seconda di quante attivazioni si succedono e di quanto accade in ogni attivazione. Assieme all’elevato numero di uomini per unità, Berg è riuscito a confezionare un sistema di gioco efficacissimo a compensare le astrazioni, tese a semplificare le meccaniche, salvaguardando in modo più che accettabile la storicità degli scenari. Si pensi solo al fatto che le unità sono prive di fattori di combattimento e che la procedura per risolverli è uniforme e indipendente dal tipo di unità. Perché anche qui il valore di ogni unità non è assoluto, ma relativo al tipo di unità con cui si scontra.

Tempo e relatività…vi viene in mente qualcosa o qualcuno? Chissà che Berg non sia stato ispirato dalle teorie di qualcuno che a riguardo ebbe a dire qualcosa….

Qui chiudiamo la nostra piccolissima carrellata, rispetto all’enorme quantità di titoli presenti in griglia che allieteranno la nostra epica tre giorni!

Ci vediamo a Bracciano!

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