Il prossimo Raduno si scorge all’orizzonte!
È tempo per la nostra consueta occhiatina alla griglia, come sempre ricchissima grazie a voi che partecipate!
Apriamo il giro con Silver Bayonet, edizione celebrativa del 25ennale dalla sua prima pubblicazione, risalente al 1990, proprio quando nasceva la GMT games. Il gioco faceva parte del mitico trittico del debutto, Operation Shoestring, Silver Bayonet e AirBridge to Victory, e, tra l’altro, si aggiudicò pure il prestigioso premio CSR di quell’anno.
Detto per inciso a beneficio di chi non lo sapesse, CSR Awards è il concorso dedicato a Charles S. Roberts, fondatore della leggendaria Avalon Hill e padre del wargame hex & counter. Se oggi ci dilettiamo con gli esagoni, lo dobbiamo proprio a lui….
Silver Bayonet 25ma edizione, dicevamo, ripercorre l’operazione omonima che ebbe luogo nella valle di Ia Drang, focalizzandosi sulle battaglie cruciali del novembre del 1965, fra la 1ª Divisione di Cavalleria Aerea statunitense, reparto fortemente innovativo appena costituito e mai impiegato prima, e più reparti dell’esercito regolare nord vietnamita, assimilabili ad una divisione. Fu il primo scontro della guerra del Vietnam fra truppe regolari dei due eserciti.
Siamo in piena escalation, cioè all’indomani della decisione del Presidente Johnson d’impegnare direttamente sul campo reparti regolari dell’esercito, assecondando i piani del Generale Westmoreland, comandante in capo del MACV (Military Assistance Command, Vietnam). .
Sino ad allora la politica dell’amministrazione americana si era limitata a sostenere lo sforzo militare sudvietnamita sia tramite l’invio di consiglieri militari, comunque spesso impegnati direttamente in operazioni antiguerriglia, non senza perdite, sia con ripetute missioni di bombardamento che, nelle intenzioni degli americani, avrebbero dovuto stroncare la logistica Nord vietnamita.
Tanto per dare un’idea, già nel 1962 in Vietnam si contavano 12000 consiglieri militari, che nel ’64 arrivarono a ben 21000 uomini, senza che fosse ancora stato deciso l’intervento militare dell’esercito, e la poderosa campagna di bombardamento fu la più pesante dai tempi della seconda guerra mondiale: sul Vietnam vennero sganciate più bombe che sulla Germania nazista nell’intero conflitto mondiale.
A fronte di tali sforzi, i risultati furono molto deludenti, sia per l’assenza di grandi infrastrutture danneggiabili in una società contadina molto semplice, qual era quella vietnamita del tempo, sia per l’effetto esattamente opposto che tanta devastazione aveva sortito nella popolazione, che, anziché fiaccarsi, si rafforzò nel morale e nella determinazione.
Pertanto s’intensificarono le infiltrazioni dell’esercito regolare nord-vietnamita, che, seguendo il famoso percorso di Ho Chi Min, faceva entrare interi reparti nel Sud, come pure aumentarono gli attacchi Viet Cong (i rivoluzionari del Fronte di Liberazione Nazionale, sostenuti dal Nord, decisi a rovesciare il governo filoamericano del Sud) ai comandi americani e alle unità regolari Sud-vietnamite, che sembravano non più in grado di reggere tanta pressione e che anzi apparivano vicine al crollo, così come tutto il governo.
Per l’amministrazione americana l’eventualità di perdere così il Vietnam del Sud avrebbe significato cedere all’espansionismo comunista nella zona indocinese, evenienza ritenuta inaccettabile che condusse alla sofferta decisione d’intervenire direttamente con l’esercito sul terreno di scontro.
La 1ª Divisione Cavalleria Aerea fu inviata in Vietnam nell’agosto del ’65, per entrare in azione nell’area centrale del Vietnam del Sud insieme agli aviotrasportati della 101ª Divisione, in previsione di una possibile offensiva Viet Cong, affiancata da reparti regolari Nord-vietnamiti di cui era stata accertata la presenza negli altipiani centrali. In quell’area era stata infatti segnalata dai servizi una rilevante attività Nord-vietnamita che rendeva concreta l’ipotesi di un imminente attacco in grande scala per occupare gli altipiani centrali, con l’obiettivo di dividere in due parti il Paese e quindi isolare le forze americane lì schierate, da quelle più a sud, vicino a Saigon.
La base principale della divisione venne stabilita ad An Khe presso il cosiddetto Camp Radcliffe, in posizione centrale tra le province di Plei Ku e di Binh Dinh.
Pur non verificandosi la temuta grande offensiva Nord-vietnamita, sembra anche a seguito dell’appena disposto massiccio concentramento di forze da combattimento americane in quelle regioni, il 19 ottobre 1965 venne attaccato il campo delle forze speciali di Plei Me, situato ad una quarantina di chilometri a sud-ovest di Plei Ku, da un contingente comprendente elementi del 33° reggimento nordvietnamita.
Il campo resse all’assalto, ma si rese necessario l’immediato intervento dei ranger sudvietnamiti e del 1º squadrone del 9º reggimento cavalleria aerea, col supporto dell’aviazione.
Il senso che gli storici attribuiscono a quell’attacco è di una vera e propria provocazione volta a suscitare la reazione americana, allo scopo di analizzare capacità, impiego di mezzi e modalità operativa della nuova dottrina tattico-strategica di guerra mobile, basata sull’impiego massivo degli elicotteri, così da poter elaborare le più appropriate contromisure tattiche per affrontarlo nel modo più efficace. In effetti, saggiata la potenza di fuoco nemica, gli attaccanti abbandonarono rapidamente il campo ripiegando alla fine verso il confine cambogiano.
In risposta all’attacco di Plei Me il generale Westmoreland, ordinò alla 1ª Divisione Cavalleria aerea d’intervenire in forze per una prima grande operazione Search and Destroy
nella valle del fiume Ia Drang, a sud-ovest di Plei Me, per affrontare e schiacciare i reparti Nord-vietnamiti presenti nell’area. Si trattava dei reggimenti 320º, 33º e 66º dell’esercito regolare del Vietnam del Nord, appena giunti negli altipiani centrali attraverso il lungo e faticoso Sentiero di Ho Chi Minh, e del battaglione H15 Vietcong, che complessivamente potevano considerarsi una divisione.
All’operazione fu assegnato appunto il nome in codice “Silver Bayonet” ed è da qui che il nostro gioco comincia il suo racconto scandito in 11 scenari che rievocano alcuni degli episodi più concitati avvenuti nella valle del fiume Ia Drang. Riemergono nomi come Duc Co, Plei Me, dove cominciarono i pattugliamenti e le incursioni, LZ (Landing Zone) Mary, ricordata per l’imboscata notturna fra il 3 e il 4 novembre, o ancora i drammatici eventi di LZ X-Ray, raccontati dal colonnello Harold Moore nel libro “We were soldiers once and young” scritto assieme a Joseph Galloway, uno dei pochi reporter presenti durante la battaglia, da cui nel 2002 fu tratto il film “We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo”, con Mel Gibson; o ancora la cruenta battaglia nella LZ Albany, dal triste primato d’esser stato lo scontro singolo più sanguinoso di tutta la guerra in Vietnam.
Una partita a Silver Bayonet restituisce molto bene i punti di forza e di debolezza dei due eserciti: capacità d’intervento rapido ed efficace per gli americani, in grado di dispiegare subito nella zona di contatto una grande potenza di fuoco, pagata però con la vitale dipendenza dalle Landing Zones, la cui difesa complicava non poco la mobilità dei reparti nell’eseguire le missioni. Perderne il controllo equivaleva alla quasi certa perdita dell’intero reparto. La controparte Nord-vietnamita e Viet Cong si apprezza per la grande abilità tattica di adescamento e imboscata, che, anche in virtù della maggiore familiarità col territorio, riusciva ad essere fortemente elusiva. Brave a rendere arduo il compito di essere scovate e ingaggiate, le loro unità erano in grado di sferrare ripetuti ed improvvisi attacchi, anche con piccole formazioni, infliggendo ogni volta perdite consistenti. Di contro la potenza di fuoco che potevano schierare non era confrontabile con i mezzi e l’equipaggiamento dell’esercito statunitense, che quindi non potevano affrontare in campo aperto, se non al prezzo di grandi perdite.
Rispetto all’edizione originale, di cui questa del 25mo mantiene integro il sistema che gli fece vincere il premio CSR nel ’90, si trova una risoluzione del combattimento innovativa che integra il combattimento di manovra, l’assalto ravvicinato, il bombardamento di artiglieria, il supporto di cannoniere e le sortite aeree.
Al Raduno Silver Bayonet ci porterà dritti dritti nell’insidiosa valle dell’Ia Drang, dove al mattino si respira l’odore del napalm…
Ed ora la nostra attenzione non poteva non essere attirata da due monster decisamente imponenti.
Il primo è War Room, di Larry Harris jr, edito da Nightingale Games, la versione adulta ed evoluta del suo Axis & Allies, giocone storico risalente al 1981, dal successo planetario e che ancora oggi continua a macinare edizioni e riedizioni sempre apprezzatissime.
Come il suo affermato predecessore, anche War Room affronta la Seconda Guerra Mondiale, a partire dal ’42, col taglio da gran strategico.
Il tabellone è davvero suggestivo, grazie alla sua forma circolare dalla grafica curatissima. Raffigura il globo terracqueo visto dal Polo Nord, leggermente decentrato per comprendervi, con un raffinato effetto prospettico, il Sud Africa. Dall’altra parte arriviamo alle zone settentrionali della Colombia, del Venezuela e della Guyana, sino all’Australia settentrionale.
I giocatori, da 2 a 6, assumono il ruolo delle potenze principali coinvolte nel conflitto tra Asse e Alleati. Quindi Germania, Italia e Giappone contro Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Repubblica Popolare Cinese.
Ogni turno si compone di ben 7 fasi: economica, di pianificazione strategica, movimento, combattimento, di riassetto e dispiegamento, del morale e quella di produzione, che chiude il giro.
Rispetto ad Axis & Allies, la raccolta delle risorse della fase economica è suddivisa su tre tipi di beni: petrolio, ferro e altre tipologie di risorse strategiche.
La fase di pianificazione prevede un intrigante confronto con i propri alleati per stabilire insieme quali ordini di movimento impartire ai propri comandi nazionali, per scriverli poi segretamente su un’apposita scheda. Inoltre l’ordine di turno non è fissato, ma si determina in questa fase, con un meccanismo di asta basato sull’offerta di petrolio.
Nella fase di movimento si spostano i propri comandi sul tabellone, secondo l’esecuzione di quello che si è scritto negli ordini, per poi risolvere i combattimenti nella successiva fase di combattimento.
Terminano il giro le fasi di riorganizzazione, morale e produzione, anche quest’ultima da eseguire in modo segreto.
Sarà bello veder apparecchiato War Room al Raduno, che oltre a divertirci un mondo, diffonderà nella sala quel sense of wonder sprigionato dal suo incantevole tabellone circolare!
L’altro giocone atteso è nientemeno che Pacific War di Mark Hermann, nella sua recente riedizione curata dalla GMT Games.
Uscito nel 1985 per la Victory Games, è lo stesso autore oggi, in occasione della sua riedizione, a ricordarne il grande successo riscosso all’epoca, accreditato anche dai recensori di allora, che lo indicarono addirittura come modello di riferimento per ogni simulazione operazionale/strategica della Seconda Guerra Mondiale.
In 35 anni, continua a dirci Hermann, anziché affievolirsi, la reputazione di Pacific War crebbe tanto da indurre a provare, più volte ma senza esito, a rieditarlo. Quindi ora ci troviamo fra le mani il risultato di un lunghissimo percorso editoriale che promette faville e già nei numeri e nel peso, questa scatola comunica chiaramente la ricchezza del suo contenuto: 10 counter sheets, per oltre 2000 pedine, 34 scenari, raggruppati in quattro categorie: d’ingaggio, di battaglia, strategici e di campagna; due splendide mappe montate, svariati supporti al gioco e cinque libri tra regolamenti, libro degli scenari e un esempio esteso di gioco sulla battaglia del Mar dei Coralli. Il tutto fa oltre 4,5 kg di partite senza fine. Pacific War copre ogni teatro di battaglia sul Pacifico, dall’inizio, con l’attacco a Pearl Harbor nel 1941, alla drammatica e decisiva estate del 1945; dall’Australia alla Cina, dalla Birmania alle Hawaii, dalla difesa dell’isola di Wake, con l’invasione di Guadalcanal, sino alle battaglie della disperata difesa giapponese per difendere le patrie isole.
È un gioco immenso, incontenibile persino per le 56 ore a disposizione e sarà bellissimo vederlo intavolato al nostro Raduno.
Il prossimo titolo su cui ci soffermiamo è il recentissimo e tanto atteso 1941: Race to Moscow, di Waldek Gumienny, edito da Phalanx. Sarebbe il “prequel” di 1944: Race to the Rhine, che uscì nel 2014 e che tanto interesse suscitò fra i wargamer, pur essendo classificabile come eurogame.
Come il suo predecessore, 1941: Race to Moscow si focalizza sulla logistica, riprendendone il medesimo meccanismo, ma lo evolve rendendo l’esperienza di gioco più intrigante e profonda. Ogni giocatore assume il comando del Quartier Generale di uno dei tre Gruppi d’Armata impegnati nell’operazione Barbarossa. Lo scopo è gestirne la corsa per arrivare ad occupare le città obiettivo prima degli avversari. L’Armata Rossa la gestisce un bot e sarà difficilissimo averne ragione. Le unità da combattimento sono distinte in corazzate e non corazzate, mentre i trasporti per la logistica sono o su rotaia, o su gomma. Anche le risorse sono differenziate in viveri, carburante e munizioni, e rappresentano la “moneta” per qualsiasi azione, compresa la verifica dell’esito dei combattimenti che è determinato dal possedere o meno le risorse richieste per vincerlo.
In sostanza 1941: Race to Moscow è un bel gestionale molto ben ambientato nel contesto storico in cui si colloca, tanto da restituire appieno le enormi criticità da affrontare per sostenere operazioni militari estese e complesse come fu l’operazione Barbarossa e sarà una bella sfida misurarcisi…
Ed ora passiamo ad una chicca d’annata! Nientemeno che Turning Point: Stalingrad, di Don Greenwood, edito nel 1989 dalla mitica Avalon Hill.
Siamo dunque dentro la notissima battaglia di Stalingrado, combattuta fra l’estate del ’42 e l’inizio di febbraio del ’43.
Com’è noto e anche suggerito dal titolo del gioco, l’esito della battaglia fu il punto di svolta dell’andamento della guerra.
Da qui ebbe inizio la lunga via verso la sconfitta della Germania nazista.
Nel gioco la 6ᵃ Armata tedesca deve riuscire a scacciare la 62ᵃ russa da Stalingrado, prima che inizi l’operazione Uranus, che storicamente si risolse con un accerchiamento che insaccò la 6ᵃ, rendendo vano ogni tentativo tedesco di salvarla, determinandone così l’annientamento. Se invece sul tabellone il tedesco riesce nell’impresa, gli si apre la possibilità di ridistribuire le truppe così da rinforzare i fianchi lungo Volga e rendere molto più ardua la manovra d’aggiramento russa.
Il gioco è un operazionale a impulsi d’area. Vale a dire che la mappa, che rappresenta la città e la zona occidentale a ridosso, è divisa in aree, anziché in esagoni, e l’impulso avviene scegliendo quella da attivare, cioè l’area dove far agire le unità che vi sono contenute.
Il tedesco ha un numero fissato di obiettivi da occupare ogni settimana. Se supera questo numero, vince; se sta al di sotto, vince il russo; se lo uguaglia, si va avanti per un’altra settimana. Turning Point: Stalingrad si è fatto apprezzare tantissimo da chi lo ha giocato, per l’intensità dell’esperienza di gioco, tanto risulta immersiva nelle difficili situazioni di quel contesto. Per quanto le sensazioni siano attutite dalla comoda posizione di una simulazione, si percepisce il sapore della polvere in bocca, fra le rovine, dove la morte è in agguato al prossimo incrocio.
È proprio vero che il Raduno, come ogni altra occasione per aprire e intavolare questi autentici gioielli di carta, diventa un portale attraverso cui tuffarsi nella Storia viva.
Rimanendo in tema di chicche d’annata, siamo felici di segnalare un graditissimo ritorno: sua maestà Third Reich, nome completo: Rise and Decline of the Third Reich, opera del 1974, scritta ancora da Don Greenwood, quindici anni prima di Turning Point: Stalingrad, e John Prados, sempre edito dall’allora incontrastata Avalon Hill.
Difronte alla ricchezza di titoli della nostra griglia, fermarsi qui è a dir poco riduttivo, ma l’articolo si sta facendo lungo e, mio caro lettore che mi hai seguito sin qui, non voglio abusare oltre della tua pazienza. Ma prima di chiudere tengo a segnalare la presenza al Raduno di Fast Movers, il prototipo avanzato, quasi in dirittura d’arrivo, di Luca Chiaffarino, sui combattimenti aerei moderni. Un autentico simulatore di volo su carta a disposizione di chi voglia provare il brivido del duello aereo a nG, con n a piacere….
Ci vediamo al Raduno con la felice consapevolezza che anche rispetto a tanta abbondanza esposta in griglia, di giochi ne troveremo ancor di più, tanti da faticare a scegliere a cosa giocare e a cosa rinunciare…
Ci vediamo a Bracciano!